Costruire al centro.
L’Unione europea della salute
di Davide Caprioglio
A meno di tre mesi dalle elezioni europee, che si terranno in Italia l’8 e il 9 giugno, tracciare un bilancio netto degli ultimi cinque anni di vita dell’Unione appare piuttosto complesso. Se dovessimo tuttavia trovare tre parole per sintetizzare le reazioni delle istituzioni Ue di fronte alla nuova ondata di crisi, la scelta ricadrebbe certamente su creatività, flessibilità e resilienza. Tre termini che descrivono al meglio anche le risposte date dall’Ue nell’ambito della crisi COVID, con la nascita della nuova Unione della Salute (European Health Union, EHU).
Partendo dall’articolo “Integration through Expansive Unification” di Maurizio Ferrera (Università degli Studi di Milano), Anna Kyriazi (Università degli Studi di Milano) e Joan Miró (Pompeu Fabra University), scritto nell’ambito del progetto di ricerca SOLID, nelle righe che seguono andremo a ricostruire contenuto e peculiarità della EHU, mostrando come la pressione della necessità, unità alla volontà politica degli attori coinvolti, abbia permesso di aggiungere al processo di integrazione un tassello ancora inedito per modalità e contenuti.
La prova del COVID
Per comprendere al meglio che significato abbia poter parlare oggi di una “Unione europea della Salute” è prima necessario fare un passo indietro nel passato dell’integrazione Ue.
Storicamente, gli Stati membri sono sempre stati restii a condividere tutte quelle competenze che ruotano attorno alla dimensione sociale, essendo queste una grande fonte di legittimità (e legittimazione) per i governi stessi. Su questa scia, la dimensione della Salute è stata a lungo una delle meno integrate nel panorama Ue, e per ragioni intuibili: mirando alla sicurezza fisica di un popolo, questa sfera si intreccia inevitabilmente con i cardini di sovranità, statualità e sicurezza nazionale – nonché con il delicato tema delle finanze pubbliche. Tutti motivi che fanno ben comprendere le resistenze a trasferimenti verticali di competenze, anche laddove questi avrebbero potuto introdurre miglioramenti qualitativi ed efficientamenti nei costi.
Sulla scorta di queste premesse, non sorprende dunque che l’Unione si sia scoperta allo scoppio della pandemia una struttura quasi indifesa, priva delle capacità necessarie per intervenire là dove l’emergenza era più grave.
Nella confusione generalizzata, il risultato iniziale è stato quello che (purtroppo) ben conosciamo: risposte unilaterali, parziali, scoordinate e spesso incongruenti, emerse qua e là nella lotta a un nemico non ancora ben compreso.
Dal punto di vista della “salute istituzionale”, l’effetto più visibile dell’assenza di un coordinamento centrale è stato il progressivo aumento di tensione tra Stati Membri. L’elenco è realmente poco lusingante: accuse reciproche per le esternalità prodotte dalle misure nazionali; incapacità di procurarsi in modo ordinato medicine ed equipaggiamento sanitario; carenze generalizzate frutto di una competizione interna sregolata, con distorsioni nei prezzi e il riemergere della logica del “beggar thy neighbour” (impoverisci il tuo vicino) che tanto ha minato in passato la coesione europea. Uno scenario di caos generalizzato, in cui il rapido intervento della Commissione – assistita dal Parlamento europeo – ha tuttavia permesso di allontanare la cupa prospettiva di un re-innesco degli antagonismi interni, trovando nell’EHU una via di uscita.
Che cos’è l’Unione della Salute
A livello di organizzazione istituzionale, l’Unione della Salute è un’architettura piuttosto complessa. Al suo interno troviamo sia istituzioni preesistenti –come l’Agenzia Europea del Farmaco e il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie– sia elementi di nuova concezione, come HERA –l’Autorità Europea per la Preparazione e la Risposta alle Emergenze Sanitarie.
Un mosaico di organizzazioni da cui emerge un’inedita capacità di coordinamento, con l’Ue resa in grado di agire in un ventaglio di settori critici: dalla gestione comune delle temporanee carenze di farmaci all’approvvigionamento comune dei vaccini; dalla sorveglianza sulla capacità di risposta degli Stati alla ricerca scientifica congiunta; dalla valutazione comune dei rischi alla possibilità di dichiarare emergenze sanitarie pubbliche a livello Ue.
Fusione al centro
Come sottolineano gli autori del paper, a qualificare in modo unico la struttura dell’EHU è poi (e soprattutto) la modalità di integrazione che le è propria. A differenza di altre “unioni” in altri settori di policy, la costruzione dell’EHU è infatti avvenuta non attraverso una semplice “centralizzazione” delle competenze menzionate, bensì attraverso un processo di fusione: una nuova modalità capace di incrementare simultaneamente tanto le capacità dell’Unione quanto quelle degli stessi Stati membri. Più precisamente, se da un lato Commissione e Agenzie delegate hanno acquisito le capacità per agire in nuovi settori, aumentando prerogative e poteri decisionali, dall’altro gli Stati membri hanno ottenuto la possibilità di sedere direttamente (attraverso i propri rappresentanti) nelle potenti strutture esecutive e amministrative della Commissione, esercitando congiuntamente la propria autorità al centro senza dover passare dal “filtro” del Consiglio (e del suo sistema ponderato di voti).
In questo gioco a somma positiva tra livelli di governance lo stesso Parlamento Europeo ha poi ricavato un proprio importante spazio, a beneficio della democraticità dell’Unione. Dopo una prima fase di negoziazione, i rappresentanti del Parlamento –direttamente legittimati dai cittadini– hanno infatti ottenuto di poter sedere anch’essi nelle nuove arene create dalla Commissione, estendendo così il proprio raggio di azione alle strutture amministrative della cornice EHU.
Di fronte a tutto ciò, il messaggio che emerge dall’esperienza della gestione pandemica è dunque certamente positivo.
Nel momento di maggior pericolo la Commissione è stata capace di rigettare l’immagine di rigida e immobile burocrazia sovranazionale e contrapporle la creatività dell’atto pratico, “costruendo la barca durante la navigazione” e guadagnando così la fiducia degli Stati Membri per agire in un settore cruciale (e gelosamente custodito) come lo è la Salute.
Se l’urgenza pandemica ha certamente fatto la sua parte, il coraggio politico per intraprendere con successo gli step che hanno condotto all’EHU non può essere dato per scontato: qualcosa che ci permette di tracciare una più ampia analogia tra l’Unione della Salute e il Green Deal, di cui abbiamo già parlato qui.
Oggi che il futuro del progetto europeo è più indeterminato che mai, tra avversari interni e nemici esterni, questa nuova modalità di “fusione al centro” potrebbe aprire la strada a nuove e interessanti prospettive di integrazione, allargandosi magari a quei settori (come la Difesa) dove ulteriori elementi di coordinazione ed efficientamento (pensiamo all’attualissimo tema delle munizioni, nell’ambito della guerra in Ucraina) di certo non guasterebbero. L’Unione è già stata in grado di rispondere in passato: a noi elettori spetta ora la scelta se renderla in grado di agire ancora, per il presente e per il nostro futuro.